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Lezione appresa per strada per la risoluzione del conflitto fra Ebrei e Palestinesi

Presentazione del Meeting Annuale in Bendorf, con gli Amici Tedeschi di Nevé Shalom / Wahat as-Salam, Ottobre 1998

Ottobre 1998

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Mentre preparavo queste pagine mi stavo chiedendo se dovevo tenere in considerazione l’atteggiamento dei giovani Palestinesi che vivono oggi in Israele, esattamente dopo mezzo secolo dalla guerra decisiva che ha visto la nascita di Israele come Stato Ebraico, e l’esilio e l’umiliazione dei Palestinesi.

Un serio approccio richiederebbe una ricerca, un esame ed analisi che sfortunatamente ora va aldilà delle mie possibilitá. Cosí, attraverso un compromesso, parleró della mia personale esperienza come Palestinese cresciuto in uno Stato Ebraico, e delle lezioni che ho imparato attraverso la mia vita vissuta a stretto contatto con i miei vicini Palestinesi ed Ebrei in Wahat al-salam / Nevé Shalom.

Sono nato a Nazareth nel 1995, dove sono cresciuto e vi ho vissuto per tutta la mia vita fino all’etá universitaria. Nazareth, come il resto della Galilea, é stata sotto il controllo degli Ebrei fino al 1948. Sebbene sia una enclave Ebraica, si sa come la parte inferiore di Nazareth fu ed é ancora oggi Araba, diversamente alle situazioni di altre cittá come Jaffa, Ramle, e Haifa. In tal modo ho avuto alcuni contatti con Ebrei quando ero bambino, e ció ha fatto sí che io pensassi alla mia identitá come Palestinese. Solo all’etá di 10 anni ho vissuto un’esperienza che per la prima volta mi ha fatto riflettere sulla mia identitá. Questa esperienza risale a quando sono diventato un membro della comunitá Cristiana.

Durante il 1950 un accordo venne raggiunto fra Israele e Giordania attraverso il quale i Palestinesi Cristiani, che avevano attraversato il confine in quattro giorni di pellegrinaggio per andare nella Cittá Vecchia di Gerusalemme e che erano stati sotto il controllo della Giordania fin dal 1948, sarebbero diventati cittadini Israeliani.

I miei genitori hanno voluto andare come ogni anno a Gerusalemme per il Natale Ortodosso, il 6 di gennaio. Nel 1965 per la prima volta, ho accompagnato loro.

Ricordo di essere partito di mattina, presto e di avere attraversato il confine al posto di blocco di Mandelbaum, punto militare dove polizia Israeliana e della Giordania erano in due differenti stanze e hanno controllato i documenti per darci la possibilitá di poter attraversare il confine. Non tutte le persone possono attraversare il confine, perfino gli Arabi Cristiani erano a volte rifiutati ed espulsi nel caso in cui gli Israeliani vedevano loro come una minaccia alla sicurezza. Questa esperienza riguardo l’attraversamento del confine mi ha posto per la prima volta difronte la mia identitá. Perché dovremmo avere un permesso? Perché alcune persone erano rifiutate? Perché avevamo bisogno di essere controllati ad ogni posto di blocco della polizia?

Quando abbiamo raggiunto la parte est della cittá, i miei genitori, dopo aver incontrato i rispettivi parenti, hanno viaggiato fra Amman, Damasco, e Beirut. Questa é stata la loro prima opportunitá dal 1948; i Palestinesi che vivevano in Israele erano tagliati fuori da questa possibilitá fino a quando Israele non ha iniziato ad avere relazioni diplomatiche con gli Stati Arabi.

I miei genitori hanno risposto alla mia domanda, troppo giovane per la mia etá, nel migliore dei modi possibili. Mia madre, specialmente, ha voluto parlarmi e mostrarmi foto dei parenti che ha conosciuto ad Haifa, e di come, durante la guerra del 1948, queste persone hanno velocemente chiuso le loro case e i loro affari, per partire alla ricerca di un luogo sicuro. Hanno lasciato questi luoghi con la convinzione che in pochi giorni o settimane il combattimento sarebbe finito, e sarebbero cosí potuti ritonare nelle proprie case. Non avevano l’idea che questo sarebbe stato un esilio durato tutta una vita. Ascoltando queste storie, esse mi hanno fatto comprendere per la prima volta cosa significa essere un Palestinese. Sono venuto a conoscenza di come la mia realtá, la mia storia, e i miei obblighi fossero differenti da quelli della societá dominante Ebrea.

Come tutti i Palestinesi, i miei genitori erano cauti nel parlare riguardo la propria identitá. Molti erano impauriti a menzionare ai propri bambini il passato. Ero costantemente avvertito di non discutere mai fuori dalla mia casa di queste questioni con nessuno.

Dopo la guerra del 1948, solo 150.000 Palestinesi (Musulmani, Cristiani e Drusi) sono rimasti in quello che é diventato lo Stato di Israele. Fino al 1966, queste persone furono soggette a restrizioni dal governo militare. Questo significava che senza il permesso del capitano del distretto militare, nessuno era autorizzato a lasciare questa cittá o villaggio per il lavoro, persino nella propria terra che magari distava pochi minuti di cammino dalla propria abitazione. Il permesso era raramente garantito. Alle persone erano imposti divieti che andavano dall’organizzazione di congressi e incontri pubblici, al pubblicare giornali, libri o altri generi di pubblicazioni. Notizie diffamanti erano sparse appositamente per ostacolare la creazione di collaborazioni, in modo tale che non si creassero accordi, né nessuno avrebbe avuto rapporti di stretta amicizia o vicinato. Infatti, qualunque persona che osava criticare questi divieti e situazioni a cui si era sottoposti, era soggetta agli arresti domiciliari, arrestata o interrogata. Dall ’altra parte, parlare bene e avere buone realzioni con le guardie faceva si che esse avessero nei propri confronti un particolare riguardo.

C’era una atmosfera di paura, insicurezza e incertezza, dove l’intera popolazione Araba si trovava a dover rinunciare alle proprie radici e relazioni fra i Palestinesi che erano in esilio (un numero di circa 1.2 milioni di persone nel 1948).
Gli effetti psicologici di questa situazione erano talmente forti che i genitori non dicevano ai propri bambini nulla circa il proprio passato, il loro popolo, la loro vera identitá, per paura delle ripercussioni sui propri figli o su di essi.

Mentre i genitori erano intimiditi dal silenzio, il sistema educativo non dimostrava l’intenzione di voler migliorare la questione di "un nostro posto nello Stato Ebraico". La scuola ci condizionava ad accetare la nostra nuova realtá e identitá. La storia del conflitto é stata insegnata da una prospettiva Sionistica, negando cosí i nostri diritti storici come Palestinesi e sostendendo i diritti degli Ebrei. La lotta del nostro popolo fu deligittimata, cosí come la lotta degli Ebrei fu giustificata. La nostra realtá come gruppo distintivo di persone che hanno vissuto in queste terre per duecento anni fu negata. Non fu tenuto in considerazione tutto questo tempo vissuto come un’unica identitá e cultura, e che avevamo caratteristiche come persone distinte con pieni diritti e una nostra nazione. Dall’altro lato, c’era il diritto degli Ebrei di immigrare da ogni parte del mondo, questione che fu enfatizzata e vista come lampante. Si puó cosí dire a questo punto che questa fu la stessa educazione data ai bambini Ebrei nelle scuole.
In accordo al conflitto ci fu insegnato che il nostro popolo é stato il responsabile di tutti questi problemi. Ci siamo ostinatamente rifiutati di qualsiasi compromesso e abbiamo combattuto senza ragione o giustificazione alcuna se non l’odio per gli Ebrei. Abbiamo meritato tutto ció che ci é accaduto e possiamo rimproverare solo noi stessi. Ogni riconciliazione dipenderá dalle nostre scuse, riconoscimento dei diritti degli Ebrei in questa terra e nell’emergere delle nostre buone intenzioni.

A causa della paura indotta dalla resistenza dei genitori e dalla distorta realtá presentataci attraverso la scuola, siamo cresciuti come ignoranti, accusatori di noi stessi, generatori di mancanza di fiducia in sé, tagliando cosí le nostre radici e il nostro passato, e creando confusione circa la nostra identitá. Questa realtá é totalmente opposta all’unica esperienza che si sta dando alle future generazioni degli Ebrei.

Nel 1966 il governo militare finalmente terminó, mantenendo i sui effetti psicologici fino ad oggi. Il pregiudizio rimane intatto nel curriculum educativo delle scuole, cosí come molte altre perspicaci influenze nella nostra societá.

Nel 1975, all’etá di 20 anni, ho avuto una seconda consapevolezza. Questo é avvenuto quando sono andato negli Usa per continuare i miei studi. Qui ho conosciuto altri Palestinesi della mia generazione provenienti da Gaza, West Bank, Giordania, Libano e Kwait. É stata la prima volta in cui ho passato molto del mio tempo con Palestinesi al difuori di Nazareth.

L’incontro mi aveva scosso. Avevo visto quanti mi somigliavano, nonostante il luogo di anscita e le differenti parti di provenienza dal Medio Oriente. Avevo impararto che tutti noi provenivamo da esperienze simili di sentimenti di "non benvenuto" ed eravamo soggetti a frustrazioni, ovunque noi vivevamo. Ho appreso che tutti noi avevamo famiglie disperse per tutto il Medio Oriente e che era difficile incontrare loro, a causa delle cattive relazioni fra le nazioni e perché eravamo Palestinesi. Ogni volta speravamo di riuscire ad attraversare il confine ma eravamo sopettati e soggetti a interrogatori. Ho imparato che nessuno dei Palestinesi che ho incontrato si sente a casa nel paese dove ha vissuto e dove vive, specialmente coloro che hanno vissuto fuori dalla Palestina.

Questa esperienza ha rafforzato e chiarito la mia identitá, oltre che chiarire rabbia perché ho capito l’esetensione della tragedia del mio popolo, e l’enorme prezzo che abbiamo pagato per difendere i nostri diritti dal piano di restrizione per stabilire uno Stato Ebraico in Palestina. Questo piano é stato reso ufficiale nel 1919, con la Dichiarazione di Balfour. Gli Arabi Palestinesi hanno compreso che potevano essere loro le vittime, con la nascita nel 1948. Fino a questo periodo la maggioranza aveva sopportato la miserabile esistenza in campi profughi intorno al Medio Oriente, dove hanno anche sofferto la persecuzione e massacri.

La posizione Israeliana nei confronti della tragedia Palestinese, é di deporre tutte le accuse sulle spalle dei Palestinesi, per il loro rifiuto ad accettare il Piano di Ripartizione dell’ONU nel 1947. Tuttavia se qualcuno crede che questo piano fosse una giusta soluzione, dovrebbe provare a vederlo dal punto di vista Palestinese. A quell’epoca c’erano 1.200.000 Arabi e 500.000 Ebrei in Palestina. In accordo con il piano, agli Ebrei si doveva dare il 55% delle migliori terre (incluse molte delle zone costiere e delle risorse idriche) per uno stato separato. La terra promessa per il futuro stato Ebraico conteneva 500.000 Arabi. Questo avrebbe comunque significato vivere come minoranza in uno stato dove l’aspetto nazionale, la cultura, e i simboli sarebbero stati tutti quelli degli Ebrei. Per prevenire l’emergere di uno stato bi-nazionale, sarebberro stati riconosciuti come membri delle loro rispettive comunitá religiose, piuttosto che come gruppo nazionale, proprio come accade ora per gli Arabi Palestinesi che vivono in Israele. Il rimanente 45% delle terre, che era abitato da 700.000 Arabi e circa 10.000 Ebrei, fu dato agli Arabi.

Se questo proposito fosse stato giusto, uno si potrebbe chiedere perché non é stato messo in pratica in Israele. Oggi Israele é riluttante a concedere ai Palestinesi piú del 9% dell’area totale della West Bank dove ci sono piú di due milioni di Palestinesi che ci vivono, e solo 120.000 Ebrei si sono deliberatamente dispersi su tutto questo territorio (spesso in piccoli settlements che servono solo a mantenere una presenza simbolica). Si noti che la West Bank é costituita solo dal 25% dei passati Palestinesi. Nella Striscia di Gaza, dove gli Israeliani non hanno pretese storiche o religiose, la storia é peggiore. Piú di un milione di Palestinesi sono "rinchiusi" in meno del 60% della terra, fin da quando Israele ha chiesto a 6000 coloni Ebrei di rimanerci.

La terza esperienza di cui voglio discutere riguarda la mia decisione di trasferirmi nel villaggio Ebreo-Arabo di Wahat al-salam/ Nevé Shalom nel 1984, due anni dopo il mio ritorno dagli Stati Uniti. Nevé Shalom/ Wahat al-Salam era e rimane l’unico villaggio dove un gruppo di Arabi e di Ebrei ha scelto di vivere insieme, pittosto che risiedere in questo luogo per via di circostanze storiche. L’idea principale che mi ha portato a vivere qui é stata fondamentalmente dovuta a mia moglie. In Nevé Salom/Wahat al-Salam, per la prima volta sono venuto a stretto contatto e interazione con Ebrei. Con ció voglio dire non solo coloro che vivono nel villaggio, ma anche i duecento e piú genitori che portano i loro figli a scuola, partecipano a workshop binazionali, o semplicemente sono ospiti dell’hotel o visitatori.

Fino ad oggi il villaggio é cresciuto con 30 famiglie, metá Ebree e metá Palestinesi, ed era molto piccolo. Prima del nostro arrivo c’erano solo sei famiglie, di cui solo una o due Palestinesi. Il villaggio stava cercando silenziosamente la sua via, e c’erano molti conflitti riguardo al tipo di comunitá che si voleva creare. Piano piano, mi sono trovato a confrontarmi con alcuni membri Ebrei della comunitá su questioni riguardo la mia identitá come Palestinese. In Israele, il termine standard con cui siamo chiamati é Israeliani Arabi. Il significato é che etnicamente noi apparteniamo alle nazioni Arabe al di fuori di Israele, che noi dobbiamo la nostra cittadinanza e lealtá ad Israele. Non c’é un posto in questa definizione per la nostra nazionalitá e cultura Palestinese.

Un’altra questione riguardava il significato e il ruolo del villaggio. Esso era definito come un problema di coesistenza fra Ebrei ed Arabi senza Israele, o potevamo essere indicati come un problema delle relazioni di Israele con i Palestinesi. Non potevo accettare niente di tutto ció come Palestinese, sentivo che avevo il dovere di portare avanti la causa Palesetinese come membro di essi, non potevo accettare di essere definito semplicemente come un cittadino Israeliano. Ero incapace di celebrare con i miei vicini israeliani il Giorno dell’Indipendenza, ed era diventato chiaro a tutti che tale ricorrenza non era possibile festeggiarla tutti insieme come comunitá. Parlando della causa dei Palestinesi, non riuscivo ad evitare i riferimenti al PLO e ai suoi leaders come legittimi rappresentanti del mio popolo, sebbene l’organizzazione fosse vista da Israele come un gruppo di terroristi. Successivamente, quando é iniziata l’Intifada, ho visto tutto ció come una estensione legittima e naturale della lotta. In tutti questi problemi a volte ho dovuto difendere la mia posizione, e sebbene tutta la comunitá voleva la pace e la riconciliazione, la mia identitá e prospettiva come Palestinese era talvolta piccola rispetto al mio vicino Ebreo.

In generale, i Palestinesi in Israele sanno molto di piú della societá Ebraica di quanto gli Ebrei non sappiano della societá Palestinese. Questo parzialmente é dovuto al fatto che la maggioranza della cultura dominante sia Ebrea, ma specialmente perché gli Arabi sono molto e motlo fluenti in Ebraico di quanto gli Ebrei in Arabo, gli Ebrei sono incapaci di interpretare indipendentemente le dichiarazioni dei leaders Arabi, leggere periodici Arabi....Cosí la situazione é duramente asimmetrica.

Come da bambino, non mi é stato insegnato di odiare gli Ebrei, ma non ho neppure impararto a rispettarli, dal momento che sono stati i responsabili delle nostre tragedie. Ora, a scapito di ció avevo imparato a capire i loro bisogni umani, che erano davvero simili ai miei. Non ero capace di giudicarli collettivamente, fino a quando ho scoperto che c’erano molte persone che tentavano di trovare una soluzione umana del conflitto. Tuttavia mi era sempre sembrato che ci fosse un sentimento negativo da parte degli Ebrei nei confronti dei Palestinesi, che era stato acquisito dalla loro educazione e che era molto piú profondo di quanto fosse il nostro nei loro confronti. Perfino coloro che erano favorevoli a dare concessioni ai Palestinesi, trovavano difficile uscire da questa condizione di negativitá nei nostri confronti, e cercavano di garantirsi una loro superioritá in tutti gli aspetti della loro vita. Comunque avevamo tutti i tratti di coloro che sono colonizzati, di persone sconfitte, e il sistema educativo provava a eliminare ogni residuo di orgoglio o valore, e la nostra societá. Avevano una grande ficucia in sé stessi, una coscienza nazionale e coesione di gruppo, ma poca tolleranza per le idee, comportamenti e caratteri che divergevano da loro stessi.

In molte cose li invidiavo. Speravo che io e il mio popolo potessimo guadagnare un poco della loro fiducia, senso di sicurezza, e solidarietá di gruppo, e non parlare di una casa nazionale dove loro potessero svilupparsi, produrre, pensare e educare i loro figli senza essere influenzati, senza paura e interventi.

Nel racccontare la storia dello sviluppo del mio senso di identitá come Plaestinese, e lo sviluppo delle mie relazioni con il popolo Ebraico, ho individuato tre esperienze che hanno influenzato la mia vita. Tuttavia é vero che le mie esperienze non sono interamente caratteristiche dei Palestinesi in Israele. Ognuno ha una propria storia, e alcuni Palestinesi hanno vissuto in uno stretto contatto con l’altro popolo. Cosí la domanda che mi pongo é quale sviluppo ci sia stato fra tutti i Palestinesi dopo gli scorsi cinquanta anni?

Loro, come me, hanno tentato di avere una identitá informale, senza alcun supporto dal loro sistema educativo, o molta assistenza dai loro capi, chi ha sofferto umiliazione e intimidazioni. Lo sviluppo della propria identitá é stato un processo lento – infatti ancora adesso cercano una maturitá. Fino ad oggi, piú della metá della popolazione vota per partiti Ebrei che normalmente negano la loro identitá, in cambio della promessa di un voto. Come me, i Palestinesi che hanno un alto livello educativo frequentano l’Universitá Ebraica, imparando l’Ebraico, o andando all’estero. Nessuna struttura offre loro molte opportunitá per unire le loro opinioni pubbliche o sviluppare la loro coscienza nazionale.

Ma c’é stato uno sviluppo di una coscienza nazionale fra i Palestinesi in tutto Israele allo stesso tempo. Dopo la revoca del governo militare, é diventato possibile pubblicare ancora giornali e anche se controllati dalle autoritá, c’erano anche molte opportunitá per esprimersi. Il periodo dopo la guerra del 1967 ha dato l’opportunitá di aumentare i contatti fra Palestinesi in Israele e coloro che vivevano nella West Bank e Gaza. Questo ha creato come risultato, la creazione di una grande solidarietá con i propri compatrioti. La lotta dei Palestinesi é diventata una risorsa di ispirazione. L’Intifada ha aumentato la fiducia. Fra gli importanti sviluppi c’é stata la crescita di un’attiva leadership Palestinese specializzata, membri Arabi all’interno della Knesset, intellettuali e altro. La leadership ha aiutato a creare un dibattito pubblico in molti aspetti delle nostre posizioni come Palestinesi in uno stato Ebraico ( l’accordo con cui noi dovremmo docilmente partecipare a istituzioni come quelle militari, il che significa che dovremmmo usare ulteriormente la nostra uguaglianza come cittadini, estendere e mostrare la solidarietá come con i Palestinesi che sono fuori da Israele, cosí come dare alcuni segni che facciano capire la nostra lealtá ad Israele....)

Oggi, c’é un senso di grande empowerment fra i Palestinesi in Israele. Le azioni sono viste dalle autoritá come un danno ai Palestinesi, come altre terre rubate, sono smentite dai colpi o sommosse come é successo nella cittá di Um al-Fahem. La popolazione ha iniziato a capire il potere della resistenza alla opressione, proprio quando le rappresanglie sono diventate piú brutali

Al risveglio dell’Intifada, e degli accordi di oslo, Palestinesi e Israeliani si stanno seriamente interrogando circa la loro futura identitá. I processi di Oslo ha lasciato loro al di fuori di ogni soluzione che si potrebbe trovare fra Israele e l’Autoritá Palestinese. I Palestinesi in israele hanno realizzato che il loro futuro é qui in Israele, ma in che modo? Rimarranno sempre una minoranza di seconda classe? Non é forse necessario guardare verso una soluzione che riconoscerá anche i loro bisogni nazionali, come parte del popolo Palestinese?

In relazione alle domande proposte e guardando al futuro, é necessario vedere quale lezione puó essere imparata dagli eventi storici degli scorsi cinquanta anni fino alla realtá di oggi.

Le lezioni che ho imparato sono le seguenti:
 La questione Palestinese é stata e rimane, il cuore di ogni guerra combattuta fra Israele e le nazioni Arabe. Non ci sará una soluzione del conflitto, o pace nel Medio Oriente fino a quando una forte e giusta soluzione a questo problema sará trovata.
 Risoluzioni basate sull’uso della forza non porteranno stabilitá. La realtá di oggi é una, cioé di latente instabilitá, con costanti minacce e scontri.
 E’ certo che il conflitto non persterá per altri cinquanta anni nello stesso modo con cui é andato avanti fino ad ora: questo fino a quando una guerra futura non porterá conseguenza disastrose.
 La forza militare Israeliana e l’azione di una bomba nucleare non é un deterrente per lo scoppio della violenza entro i Palestinesi.
 I Palestinesi hanno provato che malgrado la loro debolezza militare, essi rimangono sempre un fattore destabilizzante finché i loro problemi sono indirizzati in questo senso.
 Malgrado l’esilio della maggioranza dei Palestinesi nel 1948, l’equilibrio della popolazione fra Ebrei e Palestinesi dentro lo stesso territorio (inclusa Gaza, West Bank) si avvicina ad un numero uguale.
 La Diaspora Palestinese non significa solamente l’abbandono e la domanda di ritorno in Palestina.
 Una soluzione basata sulla ripartizione sembra cosí impossibile oggi, quanto lo era nel 1947. Per molti Palestinesi la Striscia di Gaza, West Bank e est di Gerusalemme, sono il minimo del territorio che potrebbero accettare. Gli Israeliani, dall’altro lato, chiedono una continua espansione degli insediamenti, e insistono sul fatto che gli insediamenti non andranno mai sotto il controllo dell’Autoritá Palestinese. Inoltre, é evidente che nessun governo Israeliano toglierá gli insediamenti.
 La lotta Palestinese dentro Israele per il riconoscimento come gruppo nazionale, si complica dal fatto che molti degli Ebrei continuano a vedere la minoranza Palestinese, come una potenziale minaccia e motivo di pericolo, dovuta alla lora naturale simpatia con la causa del loro popolo. La nostra lotta per l’ugualianza é vista come una minaccia allo Stato Ebraico.
 In una cosí piccola terra, é necessario per motivi ecologici, proteggere l’ambiente e il proprio territorio con una corretta gestione delle risorse naturali ( specialmente l’acqua) trovando una soluzione cooperativa fra Palestinesi ed Ebrei al fine di risolvere questo problema.
 Economicamente le due popolazioni sono, e rimangono, mutualmente interconnesse e interdipendenti.

Credo che oggi sia un imperativo lavorare insieme attraverso una risoluzione informata del conflitto da tutti i punti di vista. Il pericolo é cosí grande che tutti sperano dipendere dal riconoscere la nostra coesistenza, per vincere le ostilitá, pregiudizi e inugualianze, e adottare un approccio maggiormente costruttivo alla presente situazione.

Il processo di Oslo ci ha insegnato che gli sforzi per una reale pace non possono rivolgersi solamente in una arena politica, poiché non puó essere portato avanti tale processo se si é stimato che il sentimento popolare vada contro ad ulteriori concessioni. É anche opportuno provvedere ad una solida base educativa e sociale per avere un processo politico attraverso un diligente lavoro verso un cambiamento della coscienza ala radice.

Vivere a Wahat al- Salam/Nevé Shalom mi ha mostrato che se si dá una solida struttura dove due parti sono d’accordo a lavorare insieme senza domandare all’altro di abbandonare una parte della loro identitá o ispirazioni, perfino le piú serie difficoltá possono essere maneggiate ed eventualmente vinte. Non sono fra coloro che credono che questo modello di comunitá possa essere applicato in tutto il Medio Oriente. La maggioranza degli Ebrei e dei Palestinesi preferisce vivere separati per ragioni culturali e sociali, piuttosto che vivere in un sistema che sforzi loro a vivere e lavorare insieme. Il successo di ogni tentativo di trovare una soluzione al conflitto dipende ancora una volta da quanto siamo disposti ad assorbire dalle stesse lezioni che abbiamo imparato qui dalla nostra esperienza di cooperazione.

Sará necessario vivere insieme all’altra parte, e prendere confidenza con i loro bisogni e le loro posizioni, piuttosto che pretendere che sia possibile dettare soluzioni basate solo su una propria prospettiva. In una comunitá che si sta costruendo, il suo successo dipenderá dallo sforzo di ognuno di essi di avvicinarsi all’altra posizione.
Molti degli ostacoli che si trovano sulla strada della coesistenza, possono essere tracciati dalle negative condizioni che si ricevono dai pregiudizi e dalle distorsioni all’interno di noi attraverso genitori e insegnanti. L’unica speranza di superare questi ostacoli é di stabilire un sistema educativo che sforzerá a capire le nostre culture e radici culturali, senza denigrare l’identitá nazionale delle altre persone. Il nostro sistema educativo pone le fondazioni per una vera uguaglianza, cura della nostra nazionalitá, religione e cultura o genere. Molte componenti di questo processo sono umane, perfino deumanizzare i valori, cosí come noi tutti esseri umani assumiamo ruoli di genitori e figli, con simili sogni, speranze, preoccupazioni e ambizioni. Molto insegna ad avere un equilibrio e una storia oggettiva delle relazioni fra le due popolazioni, dato che non é un conflitto fra pecore e lupi, o buone e cattive menti delle persone.

Il nostro sistema educativo deve rompere i muri dell’ignoranza creando una vera societá bilingue, dato che se un gruppo é privato della possibilitá di accesso alla risorsa linguistica dell’altro, c’é una sottovalutazine dell’altra cultura.
Sentire l’altra lingua, produce frustrazione e profondo sospetto.
I Palestinesi imparano l’Ebraico come la lingua maggiore in Israele. É tempo che gli Ebrei imparino l’Arabo nello stesso modo.

Cinquanta anni sono passati da quando si celebrasse da un lato con feste e lavori la nascita di questa nazione, e dall’altro lato si ricordasse la buia Naqba, la Catastrofe. Passato mezzo secolo le parti hanno conosciuto una varietá di ricche esperienze che hanno formato la loro coscienza di nazionalitá e di persone. Molte di queste esperienze hanno centrato il conflitto fra ogni persona come gruppo che reclama rivendicazioni sulla stessa terra. Come nella vita reale, la lezione che derivata da una simile esperienza, puó produrre diversi risultati. Un uomo potrebbe trasforamare la rabbia in odio, l’altro magari motivato dal tentativo di trovare una soluzione, potrebbe offrire pace. Il successo delle due persone nel risolvere il conflitto dipende anche da come la lezione dell’esperienza dei passati cinquanta anni, é stata disegnata.

 

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